Alla scoperta dell’Ignorosfera

Abbiamo esplorato pianeti, ci siamo posati con una sonda su una cometa, abbiamo raccolto e riportato sulla Terra campioni di rocce lunari e di asteroidi. Con i nostri telescopi osserviamo e studiamo con grande dettaglio galassie a milioni o addirittura miliardi di anni luce da noi. Eppure…

… Eppure c’è una sottile fascia della nostra atmosfera, il tenue strato di gas che ci avvolge e sostiene la vita sulla Terra, appena poche decine di chilometri sopra le nostre teste, di cui sappiamo poco o niente. Tanto che ormai nel gergo degli addetti ai lavori viene chiamata in modo decisamente pittoresco (e poco scientifico) “ignorosfera”.
Una cosa precisa però gli scienziati la sanno: l’ignorosfera si estende tra circa 100 e 200 km di quota, ovvero appena al disopra della cosiddetta “linea di Karman”, confine ideale oltre il quale si apre lo Spazio esterno alla Terra.

L’ignorosfera ha un grande interesse per gli scienziati, perché quando i più intensi flussi di particelle cariche provenienti dal Sole che formano il vento solare colpiscono la Terra, creano importanti perturbazioni nell’atmosfera.
Queste particelle pesanti (protoni, elettroni e ioni pesanti) si scontrano con gli atomi dell’atmosfera superiore, eccitandoli, e la maggior parte di questo scambio di energia avviene nella termosfera, il secondo strato più alto dell’atmosfera terrestre che si estende tra 100 e 500 chilometri di altitudine.

L’energia rilasciata da queste interazioni riscalda la termosfera e la espande. Così, i satelliti in orbita terrestre bassa, attraversando zone d’atmosfera più dense di quanto previsto, subiscono una maggiore resistenza all’avanzamento perdendo più rapidamente quota, arrivando nei casi più estremi a precipitare prematuramente sulla Terra.

Gran parte delle perturbazioni legate ai fenomeni solari avviene nello strato più basso della termosfera, ad altitudini comprese tra 100 e 200 km: nella “ignorosfera”, appunto.
Ma perché abbiamo molti dati praticamente a tutte le altezze dell’atmosfera terrestre a eccezione di quella fascia? Perché è troppo in alto per essere raggiunta dai palloni aerostatici e troppo bassa per le orbite dei satelliti che dovrebbero attraversarla.

Senza queste misurazioni, i meteorologi dello Spazio hanno pochi mezzi per migliorare le loro previsioni sui cambiamenti che avvengono in questa regione per effetto dei brillamenti solari e altri fenomeni legati alla nostra Stella, con il risultato di non poter fornire informazioni adeguate agli operatori satellitari, i cui veicoli spaziali sono a rischio durante i periodi di intensa attività solare.

Nel febbraio di quest’anno, SpaceX ha sperimentato in prima persona quanto possa essere grave questo rischio, perdendo 40 satelliti Starlink nuovi di zecca, vittime di eccezionali fenomeni d’attrito atmosferici subiti dopo il lancio.

Le agenzie spaziali NASA ed ESA hanno in programma una missione satellitare congiunta pensata per colmare finalmente queste lacune.
Far funzionare una missione di questo tipo, tuttavia, è una sfida non da poco, perché rischierebbe di soccombere per gli stessi fenomeni che dovrebbe studiare.
“Il problema è che in questa regione, a circa 150 chilometri dalla superficie terrestre, c’è ancora un’atmosfera troppo densa che frena i satelliti”, dice Juha Pekka Luntama, responsabile per l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) dello Space Weather. “Se si inserisse in quell’orbita un satellite, rimarrebbe in orbita solo per un breve periodo di tempo, poi scenderebbe progressivamente di quota e brucerebbe”.

Le due agenzie spaziali vogliono che una missione di questo tipo rimanga in orbita per anni, in modo da raccogliere dati su eventi legati alla meteorologia dello Spazio di varia frequenza e intensità.
La frequenza con cui il Sole produce macchie solari, che sono la fonte dei brillamenti e delle eruzioni solari che colpiscono la Terra, varia in base al ciclo di attività solare di 11 anni.

Per garantire che una missione di questo tipo continui a fornire informazioni durante possibilmente tutto un ciclo solare, gli ingegneri della missione devono individuare con molta attenzione l’orbita del veicolo spaziale in modo che attraversi solo brevemente l’ignorosfera.
“Il perigeo – ovvero il punto più vicino alla Terra dell’orbita – deve essere compreso tra i 100 e i 150 chilometri in modo da poter effettuare le misurazioni”, spiega Luntama. “L’apogeo – ovvero il punto più lontano dal pianeta dell’orbita – dovrebbe essere a diverse centinaia di chilometri – 500 o 600 km, quindi ben al di fuori dell’atmosfera”.

La sonda girerà intorno al pianeta ogni 90 minuti circa, utilizzando un sistema di propulsione di bordo per compensare la perdita di velocità durante il volo attraverso le dense regioni della bassa atmosfera.
“Vorremmo misurare le particelle cariche di origine solare, ma anche la densità dell’atmosfera in questa regione”, aggiunge Luntama. “Abbiamo anche bisogno di informazioni sul campo magnetico della Terra, perché varia durante le tempeste solari. Infine, abbiamo bisogno di raccogliere informazioni precise su come l’atmosfera frena il moto del satellite”.

La missione, tuttavia, è ancora in fase di pianificazione e non sarà operativa prima della fine di questo ciclo solare. “Abbiamo costituito un team scientifico composto da scienziati europei e statunitensi e ora stiamo lavorando alla definizione della missione”, conclude Luntama. “Una volta definiti con maggiore precisione gli obiettivi scientifici e le misurazioni che desideriamo, i team di ingegneri potranno iniziare a pensare a come costruire una missione in grado di raggiungerli”.