Probabilmente avete visto il film “Don’t look up” di cui si è parlato molto ultimamente. Il film inizia con la scoperta casuale di una cometa grazie a 5 osservazioni e subito dopo vengono imbastiti dei calcoli a mano per determinare le dimensioni della cometa, la sua orbita e l’impatto con la Terra atteso nel giro di pochi mesi. Un procedimento frettoloso e poco realistico, ma al di là di questo possiamo prenderne spunto per fare delle considerazioni.
Le scoperte casuali di comete e di asteroidi possono avvenire come nel film: stando al telescopio e mettendo insieme una serie di osservazioni per realizzare una gif animata in cui l’asteroide o la cometa si muovono all’interno di un campo stellare.
Io stessa da ragazza ho scoperto degli asteroidi con questa modalità durante le mie attività al Gruppo Astrofili di Montelupo Fiorentino, capitanato da Maura Tombelli che di asteroidi ne ha scoperti oltre 200… E così hanno fatto e fanno tanti altri astrofili in Italia e nel mondo.
Tuttavia, negli ultimi anni queste scoperte casuali sono diventate sempre più rare in quanto fanno da padrone le osservazioni dedicate alla ricerca sistematica di oggetti che potenzialmente potrebbero colpire la Terra e in particolare i progetti statunitensi Catalina Sky Survey e Pan-STARRS che scandagliano il cielo in tutte le notti disponibili, cioè evitando il maltempo e le notti di Luna Piena. Questi due progetti utilizzano telescopi di diametro compreso tra 70 cm e 1,8 metri.
È poi un software a identificare gli oggetti celesti che al passare del tempo si spostano all’interno di uno stesso campo stellare. Se tra questi, c’è un oggetto non catalogato, le osservazioni vengono sottoposte all’esame di un astronomo, che verifica se si tratti di un falso allarme o meno.
Comunque avvenga la presunta scoperta, tutti i candidati nuovi oggetti devono essere segnalati al Minor Planet Center, un’organizzazione statunitense che si trova a Cambridge nel Massachusets e che, su incarico dell’Unione Astronomica Internazionale, gestisce un database globale in cui raccoglie le osservazioni provenienti da tutto il mondo di asteroidi e comete, effettua i calcoli orbitali, e rende pubblici i risultati.
Quest’ultimo passo è fondamentale, perché permette ad altri osservatori di andare a caccia degli oggetti candidati nuovi e quindi di contribuire a quelle che si chiamano osservazioni di conferma nonché a definire meglio le orbite.
Per poter ricavare un’orbita accurata infatti non bastano poche osservazioni, bisogna che queste siano spalmate almeno nell’arco di più settimane, se non mesi e anni, in modo da ridurre via via l’incertezza sui parametri orbitali e, di conseguenza, sulla stima dell’eventuale rischio di impatto con la Terra.
Il susseguirsi delle osservazioni può anche cambiare le carte in tavola…
In questo senso, è da manuale il caso dell’asteroide Apophis, circa 400 m di diametro, scoperto nel 2004. Subito dopo la scoperta la sua probabilità d’impatto con la Terra per il 13 aprile 2029 era quasi il 3%, il valore più alto mai ottenuto per un asteroide potenzialmente pericoloso. Ma dopo 17 anni di osservazioni, ottiche e radar, i calcoli orbitali sono divenuti sempre più precisi, e oggi possiamo concludere che il rischio si è praticamente azzerato per i prossimi 100 anni.
Un altro esempio recente è quello dell’asteroide 2022AE1, scoperto a gennaio 2022 e con un diametro ancora incerto compreso tra 40 e 120 metri. Era stato calcolato un rischio di impatto per luglio del 2023 sulla base di una sessantina di osservazioni effettuate in soli 8 giorni, rischio che poi è crollato anch’esso a zero grazie a ulteriori osservazioni, tra cui quelle effettuate alla Stazione Osservativa di Loiano dell’INAF.
Secondo i calcoli attuali, l’asteroide 2022 AE1 ci passerà “vicino” nel luglio del 2023 ma a una distanza di sicurezza di circa 7 milioni di km.
Anche l’Europa fa la sua parte nelle stime dei rischi di impatto con la Terra, e in particolare l’Italia. Infatti dal 2013 a Frascati c’è il centro elaborazione dati dell’ESA (lo European Space Research Institute -ESRIN) che prende i dati dal Minor Planet Center e calcola a sua volta le probabilità di impatto utilizzando un software sviluppato dalla SpaceDyS, una società spin-off dell’Università di Pisa. La stessa SpaceDyS mantiene il servizio pubblico NEODyS-2 interamente dedicato al monitoraggio di oggetti che potrebbero potenzialmente colpire la Terra e al loro rischio di impatto.
A cura di Daria Guidetti
Riprese e montaggio di Stefano Parisini
Crediti Video: NASA, JPL/Caltech, ESA, Osservatorio Astronomico “Beppe Forti”, INAF
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