Rientro low cost per satelliti

Costruito da un gruppo di studenti della Brown University e dell’Università La Sapienza di Roma, il CubeSat SBUDNIC ha dimostrato che è possibile utilizzare un metodo di rientro a basso costo, contrastando il problema rifiuti spaziali.

Il numero dei satelliti sta crescendo vertiginosamente, e nonostante l’impegno di molti paesi per affrontare la questione, la quantità di oggetti in orbita è destinata ad aumentare nei prossimi anni.
Diverse aziende in ambito aerospaziale si stanno impegnando per risolvere il problema utilizzando diverse soluzioni come rimorchiatori spaziali, reti per catturare i rifiuti, e altre iniziative simili. Ma un’altra soluzione, per alcuni aspetti più pragmatica, è quella di costruire satelliti che rientrino più velocemente dall’orbita alla fine della loro vita operativa.

Un satellite posizionato in un’orbita di circa 500 km sopra la superficie terrestre può continuare a girare intorno alla Terra per più di 25 anni, finché l’attrito dovuto alla presenza delle ultimi propaggini dell’atmosfera terrestre non lo rallenta a sufficienza da causare il rientro verso il nostro Pianeta.
Ma, aumentando in maniera significativa l’area su cui questo attrito si esercita, è possibile ridurre considerevolmente questi tempi.

Questo è quello che ha fatto un gruppo di studenti frutto di una collaborazione tra la Brown University negli Stati Uniti e il Consiglio Nazionale delle Ricerche, con il sostegno dell’azienda D-Orbit (gia impegnata in altre missioni simili), AMSAT-Italia, Università La Sapienza di Roma, e il NASA Rhode Island Space Grant.

Il satellite, chiamato SBUDNIC (un gioco di parole tra Sputnik e un acronimo formato dagli enti partecipanti), è un 3U CubeSat, un piccolo satellite dalle dimensioni di una confezione di pane a cassetta, costruito con un budget di poco più di 9.000€, e lanciato su un vettore Falcon 9 di  SpaceX nel maggio 2022. La sua caratteristica è quella di essere dotato di una “vela frenante” che si apre come un ombrello per aumentare l’attrito atmosferico e ridurre così il tempo di rientro.
Posizionato in orbita terrestre bassa a 520 km di quota, l’8 agosto di quest’anno, dopo soli 445 giorni in orbita, il satellite è ricaduto sulla Terra, bruciando in atmosfera; nel medesimo lasso di tempo, gli altri satelliti simili lanciati dallo stesso vettore si trovavano ancora a 450 km di quota e si prevede che resteranno in orbita ancora per anni.

La possibilità di realizzare quindi simili metodi a basso costo per ridurre la permanenza degli oggetti in orbita apre quindi scenari molto positivi per tutte le imprese e le agenzie che abbiamo interesse nel ridurre l’occupazione delle orbite utili e il pericolo di impatti tra oggetti in orbita intorno al nostro Pianeta, con tutte le conseguenze del caso.

 

Immagine:
Satellite SBUDNIC con la “vela frenante” dispiegata Crediti: Brown University. Courtesy: Marco Cross