Tunguska: cratere sì, cratere no. Intervista agli esperti

Oggi, 30 giugno, è l’Asteroid Day, giornata internazionale istituita nel 2016 dalle Nazioni Unite, per promuovere la consapevolezza del rischio d’impatto degli asteroidi che effettuano passaggi ravvicinati alla Terra (asteroidi Near Earth) e l’importanza dello studio di questi oggetti.

La data è stata scelta in ricordo dell’evento di Tunguska. Erano le 7:14 locali (00:14 TU) del 30 giugno 1908 quando un corpo celeste di diametro tra i 50 e gli 80 metri esplose in atmosfera, tra i 5 e i 10 km dal suolo, in una remota regione della Siberia centrale, in prossimità del fiume Tunguska. L’energia prodotta dall’esplosione causò un’onda termica e un’onda d’urto che rasero al suolo oltre 2000 km quadrati di taiga, nonché luminescenze nel cielo notturno del Nord Europa e dell’Asia Centrale che furono successivamente collegate all’evento.
La prima spedizione nei luoghi dell’esplosione fu guidata dal geologo russo Leonid A. Kulik nel 1927, 19 anni dopo. Da allora, diverse missioni hanno studiato l’area, ma nessuna ha mai trovato frammenti del corpo impattante.
Il geologo Leonid Alekseevič Kulik (Tartu, 31 agosto 1883 – Spas-Demensk, 14 aprile 1942)
Alberi abbattuti fotografati da Kulik nel 1927

Numerose ipotesi sono state vagliate dagli studiosi: l’assenza di frammenti ha fatto pensare che si potesse trattare di una cometa, ma i calcoli della traiettoria dell’oggetto, ottenuti dalla disposizione degli alberi nell’epicentro dell’esplosione, hanno escluso questa possibilità; si è pensato quindi che eventuali frammenti fossero stati seppelliti nel permafrost, tra i fanghi e la vegetazione che avevano avuto quasi vent’anni per riassestarsi già prima della spedizione originaria di Kulik.

Nella zona, inoltre, mancano crateri da impatto, a meno che questi non siano diventati laghi. È seguendo questa idea che ricercatori internazionali hanno studiato alcune formazioni della zona, in particolare il Lago Cheko (o Čeko), un lago di forma molto allungata con una lunghezza di circa 500 metri e largo approssimativamente 350 metri, situato circa a 8 km a nord-ovest dall’epicentro calcolato dell’evento.
Guarda la foto del lago Cheko (C. Stanghellini e bo.infn.it/tunguska/)

Ma non tutti sono concordi sul fatto che l’origine di questo lago sia imputabile a un evento da impatto. La regione è remota e disabitata e non ci sono prove affidabili nemmeno sul fatto che il lago esistesse o meno prima del 1908.

Abbiamo intervistato in proposito alcuni ricercatori italiani, tutti dell’area bolognese, che se ne sono occupati: Luca Gasperini, dirigente di ricerca all’Istituto di Scienze Marine del CNR e professore a contratto presso l’Università di Bologna e Carlo Stanghellini, primo ricercatore all’Istituto di Radioastronomia dell’INAF, che hanno partecipato a diverse missioni nella regione di Tunguska e in particolare al lago Cheko, a cui hanno collaborato scienziati italiani di vari enti, quali INFN e INGV; Albino Carbognani, ricercatore presso l’Osservatorio di Astrofisica e Scienza dello Spazio dell’INAF, autore di alcune simulazioni che ricostruiscono l’evento di Tunguska.

— Inizio intervista —

Secondo lei il lago Cheko ha un’origine da impatto? Perché?

Gasperini: Secondo me, non può essere altro che un cratere da impatto. L’esplosione è avvenuta a circa 8 km di altezza e il lago è a circa 8 km di distanza dall’epicentro, coincidenza attesa per un corpo in caduta libera.
Anche la morfologia e la forma del lago sono suggestive. Il lago ha una forma ellittica e la particolarità di avere un afflusso e un deflusso, del fiume Kimchu (o
Kimču), sullo stesso lato a poche centinaia di metri!
Inoltre, a differenza dei tipici laghi termocarsici, che sono cilindrici, piatti sul fondo e con pareti dritte e lisce, il lago Cheko ha pareti a imbuto con fratture anulari e presenta un piccolo delta che, secondo noi, si è formato negli ultimi cento anni.
L’analisi del fondale mostra che questa area è completamente diversa dal resto del lago, suggerendo che un meandro di un fiume si sia trovato a sfociare in uno spazio aperto, accumulando rapidamente sedimenti e creando un cuneo deltaico.
Conferenza di Mosca “100 anni dal fenomeno di Tunguska: passato, presente e futuro”, 26 giugno 2008.
Luca Gasperini presenta l’ipotesi che il lago Cheko potrebbe riempire un cratere da impatto.

Stanghellini: La questione è molto dibattuta, il nostro gruppo insiste nel dire che ci sono molte evidenze per cui questo lago possa essere un cratere da impatto, prodotto da un frammento del corpo cosmico sopravvissuto all’esplosione che ha distrutto la parte principale dell’asteroide, producendo un cratere che poi si è allargato per lo scioglimento del permafrost intorno.
L’evidenza principale secondo me è data dall’analisi di un campione di sedimenti prelevati vicino al centro del lago: mentre i sedimenti degli strati superiori sono finemente laminati, quelli degli strati inferiori, corrispondenti a epoche antecedenti al 1908 sono caotici, suggerendo il fatto di aver subito un evento di stress.

Carbognani: Sono dalla parte degli scettici. In base alla più probabile traiettoria di arrivo del corpo impattore di Tunguska e la dinamica della disintegrazione in atmosfera la risposta è che è molto improbabile. L’abbiamo visto anche nel caso di Chelyabinsk, i frammenti maggiori, ossia quelli che possono scavare un cratere da impatto colpendo il suolo, mantengono direzione e velocità del corpo principale dopo che questo si è frammentato. Nel caso del corpo celeste di Tunguska la direzione più probabile di arrivo del bolide era da Sud-Est verso Nord-Ovest, mentre il lago è a Nord dell’epicentro, quindi i conti non tornano.

Che misurazioni e osservazioni avete fatto nelle missioni al lago Cheko? Quali risultati avete ottenuto?

Gasperini: Abbiamo utilizzato un ecoscandaglio ad alta risoluzione e un sistema sonar a scansione laterale, ricavato profili sismici a riflessione ed effettuato misure di magnetometria. Il tutto per capire il fondale e cosa ci fosse sotto.
Il fondale mostra delle strutture che vengono  fuori dal fondo come peli, poi identificati come resti di rami e tronchi d’albero che sbucano fuori dal fango e che successivamente abbiamo ripreso con un video.  Dai profili sismici del fondo del lago, utilizzando onde acustiche a più frequenze per  investigare il fondale ma penetrare anche gli strati sottostanti, abbiamo ricavato una stratificazione molto spessa, di decine di metri, cosa insolita per un deposito sedimentario di soli 100 anni e la presenza di un oggetto riflettente, distinto dal resto, situato a circa una decina di metri sotto il fondo. Un fatto curioso.
Abbiamo poi scoperto che  fino a circa 1 metro di profondità, che temporalmente segna il passaggio da dopo il 1908 a prima, il lago presenta sedimenti laminati tipici di un ambiente lacustre. Al di sotto di questa profondità, i sedimenti diventano caotici.  Inoltre, l’analisi dei pollini rivela la presenza di polline lacustre dovuto a piante acquatiche solo fino a circa 1 metro, mentre al di sotto troviamo pollini di foresta, presenti a tutte le profondità.
Fotografia del fondo del Lago Cheko (Crediti L. Gasperini)
Morfobatimetria del lago Cheko ottenuta con l’ecoscandaglio (L. Gasperini).
Analisi dal carotaggio dei sedimenti (L. Gasperini)

Stanghellini:  Le scansioni suggeriscono la presenza di un oggetto sepolto 10 metri sotto il fondale della parte più profonda del lago, che potrebbe essere compatibile con un frammento dell’asteroide.
Abbiamo anche analizzato sezioni di tronchi degli alberi sopravvissuti all’evento, che hanno quindi sia gli anelli di accrescimento pre-1908 che successivi. L’idea è che attraverso lo studio degli anelli, la dendrocronologia, si riesca risalire a quelli che sono stati gli avvenimenti passati. Gli anelli antecedenti al 1908 presentano una crescita compatibile con quella di  alberi in foresta, non di riva di un lago.
Nella missione del 2008, mi sono dedicato alla magnetometria del lago. Ho realizzato una mappa magnetometrica completa, navigando avanti e indietro con un magnetometro su un gommone. Dai dati raccolti, è emersa una leggera anomalia magnetica, sempre nella parte più profonda del lago, che potrebbe indicare la presenza di un oggetto diverso dai materiali circostanti.
Slideshow con foto delle missioni italiane effettuate a Tunguska a cui ha partecipato C. Stanghellini negli anni 2009; 2018; 2019 (Crediti Carlo Stanghellini e bo.infn.it/tunguska/)

Quali potrebbero essere le spiegazioni alternative per le anomalie rilevate?

Stanghellini: L‘anomalia magnetica potrebbe semplicemente essere dovuta a una differenza nelle proprietà magnetiche delle rocce. Tuttavia, il fatto che questa anomalia sia situata nella zona più profonda del lago è piuttosto interessante. Anche la riflessione dell’ecoscandaglio, che mostra un riflettore compatto, potrebbe essere causata da una roccia più compatta di origine terrestre. Ancora una volta, è interessante che questa coincida proprio con il centro del lago e con l’anomalia magnetica. Insomma, pur non avendo certezze definitive, queste osservazioni offrono indicazioni piuttosto interessanti.
Risultato dei profili di riflessione sismica che mostra il corpo riflettore (indicato con la lettera T) situato a 10 metri sotto il fondo del lago. (L. Gasperini)

Quali dubbi rimangono sull’evento di Tunguska?

Gasperini: Ci ho riflettuto molto, ma spiegazioni alternative non le ho trovate. Una delle cose che mi dà più dubbi sono dei microfossili, che stanno nei laghi, chiamate tecamebe, che non mostrano differenze tra sopra e sotto il metro di profondità del lago Cheko.

Stanghellini: C’è moltissimo dibattito su quale sia la direzione di arrivo del corpo celeste perché questa è ottenuta da testimonianze, anche indirette e spesso contraddittorie, oltre che dalla forma dell’area devastata e dall’orientazione degli alberi abbattuti, dati che hanno una grande incertezza. È un fattore importante perché influenza la direzione di dispersione dei frammenti dell’asteroide, che potrebbe intercettare o meno la zona del lago Cheko.

Quali sono le principali critiche o limitazioni allo scenario dell’ impatto come origine del Lago Cheko?

Carbognani: Una prima critica è che la traiettoria più probabile del corpo impattore di Tunguska e la posizione dell’epicentro non collimano con la posizione del lago. Un secondo punto critico è la presenza di un solo lago: di solito, quando un piccolo asteroide si disintegra in atmosfera, si tende ad avere un campo di crateri, quindi ci si aspetterebbero diversi laghetti che non ci sono. Altro punto a sfavore è la mancanza del bordo rialzato.
Distribuzione di probabilità della caduta a terra dei frammenti del corpo celeste (Crediti A. Carbognani).

La composizione dell’asteroide o le condizioni atmosferiche potrebbero influenzare significativamente la traiettoria?

Carbognani: In base a quello che conosciamo dei piccoli asteroidi, il corpo impattore di Tunguska probabilmente era un blocco monolitico di composizione rocciosa e in questi casi il comportamento durante la caduta è determinato principalmente dalla velocità che possiede l’asteroide che ne determina il frenamento, la frammentazione e l’ablazione. Il parametro più importante per quanto riguarda l’atmosfera è il profilo del vento che può cambiare (anche in modo rilevante) il percorso dei pezzi più piccoli dopo la frammentazione.
Al contrario, quelli di dimensioni metriche tendono a proseguire relativamente indisturbati perché, avendo un’inerzia molto grande, sono poco influenzati dai venti. Quindi la discrepanza fra la posizione del lago Cheko e la traiettoria accettata per il corpo impattore non può essere imputata al vento.

Quali potrebbero essere i limiti del vostro modello per la dispersione dei frammenti dell’asteroide o delle parametrizzazioni usate?

Carbognani: Come tutti i modelli il limite sta nei valori di input utilizzati, come la direzione e l’inclinazione della traiettoria di caduta che, nel caso di Tunguska, sono note con molta approssimazione. Basta cambiare la direzione di arrivo per ottenere risultati completamente diversi per la possibile zona di caduta di eventuali frammenti macroscopici del corpo impattore di Tunguska (strewn field). Tuttavia ci vogliono dei buoni motivi per farlo che, per ora, mancano.

Esistono altre ipotesi che possano spiegare l’origine del Lago Cheko?

Carbognani: Il Cheko potrebbe essere benissimo un lago di origine naturale originatosi da fenomeni carsici, probabilmente l’acqua del fiume Kimchu ha scavato e fatto crollare il soffitto di una piccola grotta dando luogo al profilo a imbuto. Da ricerche molto recenti svolte da ricercatori russi risulta che anche due altri laghi posti 50-60 km a sud dell’epicentro di Tunguska e simili come dimensioni al Cheko, lo Zapovednoye e il Peyungda, hanno una forma a imbuto con profondità dell’ordine di 60 e 35 m rispettivamente: questo toglierebbe al Cheko la sua unicità.
Essendo così lontani, questi due laghi non possono essere crateri da impatto, quindi se ne deduce che nella regione di Tunguska si possono formare anche laghi con profilo a imbuto senza che intervengano agenti esterni.

Stanghellini: Esistono varie ipotesi sull’evento di Tunguska. Escludendo le più fantasiose, una teoria è che l’evento non sia stato causato da un corpo cosmico, ma da un fenomeno terrestre come un evento vulcanico estremamente potente, noto come Verneshot, con un’energia molto maggiore di una normale eruzione vulcanica.

Quali sono le prospettive future per la ricerca sul Lago Cheko, considerando anche l’attuale situazione geopolitica?

Gasperini: Il passo successivo sarebbe quello di fare una trivellazione nel lago, ma  secondo me, a causa dell’attuale situazione geopolitica, non ci arriveremo mai.
Servirebbe una carota di più di 1,80 m perché ci consentirebbe di esaminare in modo dettagliato ciò che si trova sul fondo. Con una carota di 10 m potremmo forse scoprire l’oggetto che ha causato la formazione del lago. È importante trivellare, non solo per trovare la meteorite di Tunguska, ma anche per verificare se quello che è noto come “Sasso di John”, una roccia sedimentaria che si trova nell’area dell’epicentro dell’evento di Tunguska.
L’idea è quella di analizzare gli zirconi nei frammenti di questa roccia con un microscopio e datarla. È composta da quarzo al 99%, e diversa dalle rocce vulcaniche intorno, le dioriti.
Se risultasse che ha  200 milioni di anni, confermeremo che è una roccia terrestre, se ha quattro miliardi di anni no. Se fosse una roccia marziana, il recuperare l’oggetto sepolto nel lago Cheko diventa ancor più fondamentale: potrebbe trattarsi di un frammento proveniente da Marte e probabilmente risalente a quando il pianeta ospitava acqua, perché questa è una roccia sedimentaria, metasomatica probabilmente.
Infine, poiché abbiamo scoperto che ci sono ancora le foto aeree degli anni 20-27 di Kulik, stiamo collaborando a una nuova analisi della posizione degli alberi abbattuti.
Il sasso di John (Crediti L. Gasperini)

Stanghellini: Credo che la situazione geopolitica sia tale per cui noi ci possiamo dimenticare di andare in Russia con una spedizione scientifica italiana, almeno prossimamente, per scavare nella zona più profonda del lago Cheko, in cui abbiamo riscontrato l’anomalia magnetica e il riflettore.  Inoltre, i costi per tali scavi sarebbero significativamente maggiori rispetto alle spedizioni precedenti.
Tuttavia, abbiamo ancora molti campioni da analizzare dalle esplorazioni precedenti, quindi c’è ancora molto lavoro da fare. Ad esempio, ho raccolto circa mezzo chilogrammo di roccia del “Sasso di John”, una pietra che al 99% è terrestre, anche se qualcuno insiste nell’affermare che potrebbe essere un frammento di Marte collegato all’evento di Tunguska.

Quali ulteriori ricerche potrebbero essere fatte per chiarire l’origine del Lago Cheko?

Carbognani: L’unico modo per chiarirne definitivamente l’origine sarebbe andare a scavare il fondo per cercare di recuperare eventuali frammenti macroscopici del corpo impattore di Tunguska. Naturalmente si tratterebbe di una spedizione molto costosa, per via delle attrezzature necessarie per scavare il fondo del lago.

— Fine dell’intervista —

Tutti i ricercatori intervistati hanno più volte sottolineato come il dibattito sia ancora aperto, riconoscendo i limiti e le possibilità delle diverse misure, ricostruzioni e posizioni, mostrando la vera essenza del metodo scientifico.
L’evento di Tunguska resta quindi un enigma affascinante, ancora tutto da svelare.

Guarda il video teatrale Leonid Alekseevič Kulik, 1883-1942. Interpretato da Mattia Tedone a cura di Sorvegliati Spaziali e del Piccolo Teatro d’Arte.